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Agroalimentare pugliese ed export: un connubio possibile

Data: 23/07/2013 - Ora: 12:17
Categoria: Economia

agroalimentare

di Amedeo Maizza
Ordinario di Economia e gestione delle imprese
Preside della Facoltà di Economia
Università del Salento

Nell’esaminare il pregevole rapporto della Banca d’Italia sull’economia della Puglia (http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/ecore/2013/analisi_s-r/1317_puglia/economia-Puglia.pdf presentato nei giorni scorsi a Bari ed a Lecce), mi ha interessato particolarmente l’argomenti degli scambi con l’estero; ciò, oltre che per una mia dedizione al tema, anche perché, in un panorama sofferente, tale ambito rappresenta un –sia pur labile- barlume di speranza per il futuro della nostra economia.
Nel rapporto si legge: Nel 2012, pur rallentando, l’export è aumentato in alcuni comparti del manifatturiero, quali i macchinari, i mezzi di trasporto, i prodotti alimentari, chimicofarmaceutici e in gomma […]. Il rallentamento delle esportazioni è in larga parte attribuibile all’andamento delle vendite verso i paesi UE, che sono aumentate solo dell’1,8 per cento rispetto all’anno precedente (17,3 nel 2011) […]. Nei paesi non europei l’export, pur decelerando, è aumentato a ritmo sostenuto (14,4 per cento; 19,3 nel 2011), in particolare in seguito all’incremento degli scambi verso Asia e America […]. Oltre il 60 per cento dell’aumento delle esportazioni tra il 2008 e il 2012 è attribuibile ai prodotti farmaceutici, la cui quota sul totale regionale è aumentata di 9,0 punti percentuali (un punto in Italia). L’export pugliese è stato sostenuto anche dai mezzi di trasporto e dai macchinari, la cui incidenza – in controtendenza rispetto al dato nazionale – è aumentata, e dalle esportazioni di prodotti alimentari, cresciute in linea con la media nazionale.


Continuando nella lettura del predetto rapporto, emerge un aspetto particolarmente rilevante costituito dal "peso delle unità locali di proprietà esterna" (ovvero stabilimenti e imprese appartenenti a gruppi del Centro Nord o Esteri), da cui si evince che i settori economici in cui si è registrato un trend tutto sommato positivo per le esportazioni (farmaceutico -che pesa ben il 60% dell’aumento dell’export nel periodo 2008/2012-, mezzi di trasporto e macchinari) presentano una numerosità di unità locali di proprietà esterna superiore all’80%.


Come dire: l’export pugliese, proprio pugliese poi non è!


A parziale smentita di tale deduzione vi è il fatto che, pur costituendo una modesta parte di tale voce, quello alimentare è un settore prettamente Made in Puglia (le unità locali di proprietà esterna sono meno del 10% circa) e, sia pur in misura ridotta, presente sui mercati esteri.
Riepilogando le precedenti osservazioni si ha che:
a) la maggior parte del beneficio dell’export pugliese ritorna all’estero (se si escludono taluni marginali "effetti alone" ed il positivo riflesso sull’occupazione, è difficile individuare elementi positivi per il sistema socio-economico pugliese);
b) l’assenza nel nostro territorio di core competence (competenze distintive) autoctone da offrire ai due settori più importanti per l’export non assicura la permanenza di queste importanti realtà (bisognerebbe approfondire in proposito le ragioni per cui esse si sono insediate), né genera un accrescimento del valore del brand Made in Puglia.


Per cercare, quindi, di delineare uno scenario prospettico meno drammatico per la nostra regione, credo sia utile considerare un aspetto che, pur non in maniera incisiva, costituisce una concreta opportunità per la Puglia: il settore agroalimentare pugliese e la sua presenza sui mercati esteri. Se, infatti, ci soffermiamo su tale ambito economico, proiettandolo verso il futuro, possiamo osservare come esso costituisca una peculiarità del nostro territorio, in cui esistono le predette core competence oggi necessarie per contrastare la tendenza verso l’omologazione, garantendo la differenziazione del prodotto. Le potenzialità di sviluppo del variegato settore agroalimentare pugliese sono molteplici ed offrono ricadute interessanti sotto il profilo socio-economico visto che spesso le filiere sono "radicate" ed interamente presenti sul territorio, quindi il valore si crea, permane e si sviluppa sul medesimo contesto socio-geografico. In questo senso, la relazione "prodotto-territorio" se opportunamente comunicata (un prodotto per avere valore deve essere conosciuto ed apprezzato), consente di valorizzare e tutelare contestualmente le specificità dei prodotti e dei territori d’origine.


Va però osservato come tale ambito presenti diverse criticità che non agevolano l’attivazione di un potenziale circolo virtuoso (produzione, esportazione, valore, occupazione, indotto, altra produzione), da cui si trarrebbero vantaggi diffusi anche in altri settori economici.
Tra le principale difficoltà del comparto, vi è certamente la ridotta dimensione media delle imprese che, oltre a non consentire l’avvio del predetto circolo virtuoso, innesca un circolo vizioso poiché proprio la ridotta dimensione non agevola l’interscambio verso l’estero. In altri termini, i volumi richiesti spesso sono superiori alle capacità produttive delle singole realtà, determinando così il paradosso che: vi è la domanda ma non l’offerta sufficiente!. Ciò priva il territorio di un volano dalle capacità potenzialmente straordinarie, considerata anche l’attuale notorietà della Puglia nel contesto internazionale.
La ridotta dimensione strutturale delle imprese si ripercuote negativamente non solo sul fronte produttivo ma, ovviamente, anche sugli altri importanti -oggi fondamentali- processi di governo delle imprese, primo fra tutti il marketing inteso non solo come attività di promozione ma soprattutto come analisi e comprensione dei mercati.
Per avere successo sui mercati esteri, oggi appare indispensabile, infatti, farsi conoscere lì dove si può essere apprezzati; ecco quindi che è assolutamente indispensabile, e propedeutico a qualsiasi azione di comunicazione, individuare gli ambiti di mercato in cui poi competere con idonee strategie. Riuscire in questo intento equivale a dire che bisogna investire in ricerche, azioni di scouting, contatti con buyer, partecipazione a fiere, presenza attiva e visibilità sul Web nelle sue variegate e mutevoli forme. Tutto questo è difficile che possa realizzarlo la singola e spesso piccola impresa. Occorre, quindi, stimolare e sostenere le iniziative di incentivazione di partnership (strutturate e non) che, ormai da tempo, si rinnovano sul territorio. Penso, in tal senso, alla possibilità di aggregazione per realizzare e commercializzare prodotti con medesimi standard qualitativi ed un unico brand da promuovere su Paesi selezionati con precisi criteri di screening.


L’attivazione del predetto circolo virtuoso richiede, dunque, la genesi di formule sistemiche che consentano il perseguimento di sinergie sotto il profilo produttivo ma, soprattutto, nell’ambito della generazione di conoscenza da cui possa discendere una governance efficiente, capace di assicurare al contempo il successo dell’impresa e lo sviluppo del territorio su cui essa opera.

Autore: Amedeo Maizza

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