La realtà che stiamo vivendo ci va abituando agli eventi apocalittici: il coronavirus ci ha fatto vedere la morte
tagliare, con la sua falce, un’intera fascia di età. Abbiamo perso, in un solo anno, moltissimi anziani; sullo sfilare delle
loro bare non abbiamo potuto trattenere un pianto dirotto. Pure il dolore atroce non ha saputo scalfire la nostra
fede: Gesù, Signore della storia, crocifisso e risorto, "era" ed "è" in ciascun uomo, che vive e che muore. "Pregare
sempre", come ci raccomanda il Vangelo di questa I domenica di Avvento, non vuol dire appartarsi dalla vita per
biascicare, con la bocca, orazioni, ma fidarsi: il Signore è "per ciascuno di noi", ci ama e, nonostante le nostre umane
follie – disobbedienze civili comprese – ci desidera tanto da volere tornare, alla fine dei tempi, a prenderci con sé,
per ospitarci, intorno a quella tavola, imbandita dal "Padre nostro", per noi, suoi figli. Siederanno a mensa prima i
poveri, che, scartati e derelitti, hanno diritto di primogenitura, poi, pian piano ci disporremo anche noi, che abbiamo
tentato, almeno qualche volta, nella nostra vita, di amare davvero il Signore e i fratelli più fragili, più piccoli, da LUI
offertici, come Sua immagine-ricordo.
A noi, cristiani, non è dato di temere "la fine del mondo", della quale ignoriamo tempi e modalità, noti solo al Padre,
ma siamo chiamati ad essere in attesa di Gesù, unigenito, che tornerà a noi, da Re, Vittorioso sul peccato e sulla
stessa morte. Egli, per nostro amore, non solo è morto, ma vive in eterno, da Risorto e ci farà risorgere.