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Stretti tra referendum e conti
Secondo la Corte dei Conti, che ieri ha pubblicato la relazione sugli ultimi due bilanci dell'Acquedotto Pugliese, la Regione sarebbe obbligata a privatizzare il più grande gestore idrico del Mezzogiorno (cambiandone lo statuto). E avrebbe dovuto avviare una azione di responsabilità «verso gli amministratori che hanno stipulato i contratti derivati e verso gli attuali amministratori».
La contraddizione, se così vogliamo definirla, sta nei bilanci 2009 e 2010, oggetto della relazione, che si sono chiusi con un utile complessivo di 47,3 milioni di euro, anche grazie ad «aumenti di fatturato» che sono andati di pari passo con una gestione più efficiente del personale e dei relativi costi (in costante diminuzione) e con un indebitamento sostanzialmente stabile. Ma, dice la Corte, il mantenimento di questo trend positivo è messo in forse «dalla presumibile crescita significativa dell'indebitamento netto».L'Aqp si difende rilanciando: se abbiamo debiti è perchè abbiamo investito.
Si tratta in realtà di un effetto previsto. Aqp ha accumulato utili proprio per poter sostenere nei prossimi anni «l'attuazione degli investimenti programmati», anche grazie all'impegno della Regione ad aumentare il capitale sociale fino a 200 milioni. Tuttavia i giudici contabili esprimono «perplessità» per la decisione dell'«azionista» (sempre la Regione) che nel 2012 ha prelevato dalla società 12,25 milioni di utili. L'altro tema riguarda il quadro normativo legato alla gestione del ciclo idrico. Il nuovo articolo 7 dello statuto ha blindato Aqp, prevedendo che la maggioranza delle azioni debba rimanere in mano agli enti pubblici. Ma la Corte dei Conti ne sottolinea il «contrasto» con la legge (488/2001) con cui il Tesoro trasferì l'Acquedotto alle Regioni con l'obbligo di privatizzarlo. Anche perché la legge regionale con cui Vendola stabilì la «ri-pubblicizzazione» di Aqp è stata abrogata dalla Consulta, mentre la Finanziaria per il 2002 è sempre vigente: esiste dunque - secondo la relazione - «l'esigenza della riconduzione dello statuto alla normativa statale mai abrogata».
A questo replica l'assessore ai lavori pubblici, Fabiano Amati, ritenendo che la privatizzazione cozzi con la volontà popolare espressa nel recente referendum. C'è poi la partita che riguarda il derivato con Merril Lynch per il maxiprestito da 165 milioni del 2004. Di fronte al pericolo di default della General Motors, che avrebbe portato a perdite incalcolabili, nel 2009 Aqp ha rimodulato il contratto eliminando i titoli tossici e prevedendo che il paniere (sinking fund) contenesse solo certificati di debito dello Stato italiano. La transazione è costata 13,1 milioni e la Corte «non esprime valutazioni di merito».
Ma i giudici contabili definiscono «non condivisibile» la rinuncia «alle azioni (comprese quelle sociali) di responsabilità verso gli amministratori che hanno stipulato i contratti derivati e verso gli attuali amministratori, nonché l'erogazione a favore dell'ammini - stratore unico di un incentivo straordinario collegato all'attività svolta per favorire la transazione».
Autore: Maria Nocera
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