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Data: 21/03/2013 - Ora: 12:07
Categoria:
Politica
Era un legge del Governo Prodi, dimissionata da Berlusconi
L'Italia non può aspettare. Così, mentre le procedure istituzionali seguono il loro corso, ritengo sia un nostro preciso dovere, in qualità di rappresentanti dei cittadini, quello di metterci subito al lavoro e penso che l'occupazione femminile sia un imprescindibile punto di partenza. Il Trattato di Lisbona aveva stabilito, relativamente all'occupazione femminile, l'obiettivo del 60% entro il 2010. L'Italia oggi è ferma al 47,2%, 13 punti percentuali al di sotto del limite prefissato e 12 al di sotto media europea. Nel Sud Italia poi la situazione è ancor più drammatica: più di due donne su tre sono fuori dal mercato del lavoro. L'Italia si colloca al 96o posto al mondo per la partecipazione femminile alla vita economica e all'88o per la presenza nel lavoro. Bankitalia ha calcolato che la piena occupazione femminile determinerebbe una crescita equivalente a 7 punti di PIL.
Per questi motivi ho depositato la mia prima proposta di legge della XVII legislatura, riprendendo una battaglia di civiltà che il Governo Berlusconi aveva ritenuto di interrompere già nei suoi primi atti di governo: la battaglia contro le "dimissioni in bianco".
La pratica delle "dimissioni in bianco" consiste nel far firmare, contemporaneamente al contratto di assunzione, una lettera di dimissioni, su foglio bianco e senza data. Si tratta di un ricatto incivile che colpisce principalmente le donne, per le quali di fatto si traduce in licenziamento in caso di maternità. In molti casi, la lettera di «dimissioni in bianco» è utilizzata anche nei confronti di altre fasce di lavoratori «deboli», immigrati e precari, i quali, pur di ottenere un posto di lavoro sono disposti a sottostare a condizioni vessatorie e illegali. Far firmare una lettera di «dimissioni in bianco» significa avere la possibilità di «liberarsi» in qualsiasi momento della lavoratrice o del lavoratore «scomodo». Scomodità provocata anche dalla malattia o dall'infortunio e comunque in tutti casi in cui il lavoratore diventa troppo costoso in termini fiscali e previdenziali.
Per sanare questa situazione, durante il Governo Prodi era stata varata la legge n. 188 del 2007, con la quale si obbligava il lavoratore o la lavoratrice che avesse voluto presentare una lettera di dimissioni a utilizzare un modulo informatico, dotato di caratteristiche di anticontraffazione e di antifalsificazione, di una numerazione alfanumerica progressiva e di limitata durata temporale, grazie al quale impedirne l'abuso. Il Governo Berlusconi, però, aveva immediatamente provveduto ad abrogarla, giustificando tale decisione sostenendo che le procedure previste dalla legge rappresentavano un appesantimento burocratico e non garantivano la soluzione del problema.
Il 20 aprile 2010, il Partito Democratico aveva presentato una proposta di legge presso la Camera, condivisa da oltre 40 deputati del medesimo Gruppo, tra cui la sottoscritta, che riproponeva il testo di legge con una sostanziale modifica: l’estensione dell'applicazione della normativa anche ai casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Tale soluzione permetteva, ad avviso della proponente, di evitare abusi in tutte le forme di recesso dal contratto di lavoro.
La proposta di legge aveva iniziato il suo iter parlamentare nel febbraio 2012, in un contesto politico profondamente mutato a seguito dell’insediamento del governo Monti. Il nuovo Ministro Fornero, si era mostrata sensibile all’argomento e disponibile a intervenire affinché fossero approntati strumenti legislativi utili a combattere la piaga delle "dimissioni in bianco". Ma la scelta del Ministro fu quella di inserire, all’interno del provvedimento di riforma del mercato del lavoro una serie di disposizioni volte ad affrontare il problema, alcune norme che si limitavano all’inasprimento e all’allargamento dei controlli, determinando un meccanismo a mio parere farraginoso, insufficiente e aggirabile. Interrogazioni successive hanno evidenziato un aggravamento del dato relativo al fenomeno delle "dimissioni in bianco".
La crisi in atto, la più profonda dal dopoguerra, determina un tasso di disoccupazione femminile e giovanile molto preoccupante, in crescita soprattutto nel Sud del Paese. C’è la necessità di reagire in un quadro di garanzie dei diritti e affermazione della legalità per consentire al Paese di ricominciare a crescere in modo armonico e solidale. Per queste ragioni ho proposto un testo di legge che, mantenendo la parte relativa ai controlli e al monitoraggio, inserisce una modalità di sottoscrizione delle lettere in oggetto utilizzando moduli con validità temporale definita e un codice di identificazione che ne impedisca la manomissione.
I dati sopra citati evidenziano quanto il nostro Paese sia ancora arretrato sul piano della presenza e dei diritti della donna nel mercato del lavoro, ma ancor più incivile è la condizione di ricatto permanente cui il lavoro femminile, principalmente, è condannato dalla pratica delle "dimissioni in bianco".
Gli italiani ci hanno detto nelle urne che è giunto il momento di un cambiamento radicale della nostra società e io penso che questo cambiamento, per essere davvero profondo, debba partire proprio dalla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori. E penso che questa proposta di legge rappresenti un primo significativo passo.
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