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Data: 31/01/2017 - Ora: 10:14
Categoria:
Cultura
Un’analisi del ruolo della donna nelle organizzazioni criminali.
Con riferimenti a Cosa Nostra e alla ‘ndrangheta
Organizzazioni criminali come Cosa Nostra o ‘Ndrangheta hanno una struttura paternalistica e familiare, ovvero la famiglia viene a coincidere con quella che è l’organizzazione, vi è una con-fusione di famiglia interna (psichica) con la famiglia di origine e la famiglia "acquisita", come spiega il professore ordinario di psicoterapia presso la laurea magistrale in psicologia clinica Girolamo Lo Verso: "Difatti, uno dei punti di forza dell’organizzazione mafiosa che le ha consentito di divenire "Cosa Nostra" è stato il fare coincidere la famiglia biologica con quella sociale tramite i matrimoni all’interno dell’organizzazione, facendo in tal modo coincidere la famiglia interna (psichica), con la famiglia di origine e la famiglia "acquisita", creando una coesione totalizzante e fondamentalista che ha assicurato la sopravvivenza dell’organizzazione; ciò è ancora più diretto nella ‘Ndrangheta" (Serena Giunta- docente presso facoltà di Scienze Psicologiche, Pedagociche e della formazione dell'Università di Palermo, Lo Verso, Giuseppe Mannino- docente presso facoltà di Scienze Psicologiche e della Formazione dell'Universita di studi di Palermo 2013) da questi pochi accenni, alla struttura di queste organizzazioni si può intuire la complessità del fenomeno legata soprattutto alla cultura di appartenenza di questi gruppi e alla trasmissione intergenerazionale dei disvalori e dei codici "come si spiegherebbe altrimenti il fatto che la mafia rappresenti una delle più solide organizzazioni/istituzioni.
In essa i valori antropologici, familiari e identitari si saldano in maniera totale con la cultura di appartenenza, quasi a confondersi con essa, lo segnaliamo poiché questo è uno dei punti di forza di Cosa nostra e ‘ndrangheta e quello che non ne fa una semplice organizzazione criminale come già aveva chiaramente intuito Giovanni Falcone." (Serena Giunta, Girolamo Lo Verso, Giuseppe Mannino, 2013) Chi opera questa trasmissione intergenerazionale della cultura mafiosa? Una domanda che ha una risposta banale ma che colpisce al cuore del problema: le donne si occupano dell’indottrinamento della prole alla cultura criminale, esse rappresentano la principale fonte di apprendimento per la prole e "I principali disvalori riguardano l’omertà, la vendetta, il disprezzo dell’autorità pubblica e la differenza di genere. L’oneroso compito di formare nuove personalità mafiose spetta proprio alla donna. Alla prole si insegna l’agire criminale sotto forma di apprendimento durante la fase della socializzazione primaria" Federica Beretta, studentessa presso l'Università del gli studi di Milano - 2012.
La socializzazione primaria della prole non consiste soltanto in una trasmissione di valori e codici ma consiste nella vera e propria costruzione dell’identità criminale da parte della famiglia, come spiega Lo Verso: "È condivisa, in psicologia clinica l’idea che l’uomo può diventare tale solo attraverso le proprie complesse e travagliate identificazioni con il mondo familiare ed attraverso il concepimento e l’intenzionamento che questo mondo fa di lui. L’identità si costruisce, almeno nella nostra cultura, nel rapporto fra esperienza soggettiva ed esperienza familiare." ( Giunta, Lo Verso, Mannino, 2013)
La prole così concepita dalla famiglia mafiosa introietta valori distorti i quali vanno a formare quello che gli psicoanalisti Franz Alexander e Hugo Staub chiamano super-Io criminale "il super-Io può essere anomalo, essendo strutturato come "super-Io criminale": in questo caso gli ideali dell’Io e la rappresentazione interiore della coscienza sociale sono in un certo senso rovesciati, strutturati in modo antisociale e il soggetto adegua la sua condotta, che diviene pertanto criminale, alla distorta struttura superegoica."(Isabella Merzagora Betsos – docete di criminologia presso la facoltà di Medicina dell'Universita di studi Ddi Milano 2008) un super-Io anomalo che risulta adattivo nel contesto mafioso e ai fini dell’organizzazione ma che risulta del tutto spersonalizzante per la prole che subisce questo indottrinamento "Quando ci viene chiesto se la mafia sia o meno patologica la risposta è duplice: sì e no. Non è patologia, per loro, finché i membri dell’organizzazione sono inquadrati all’interno di Cosa Nostra, tutt’altro che matti almeno nel senso comune e sintomatologico della psichiatria. Per gli aspetti legati all’identità, alle relazioni e ai processi di pensiero su di sé: la mafia è psicopatologia, poiché tutto ciò è quasi inesistente." (Giunta., Lo Verso, Mannino, 2013).
Attraverso questa trasmissione dei codici culturali "vi è piena collusione tra maschile e femminile nel creare i modelli della virilità e della femminilità" (Lo Verso, 2010).
Le donne non solo insegnano i valori della virilità ai figli ma anche il valore della sottomissione all’uomo alle figlie; "Le donne rispettate in quanto madri e generatrici di figli sono educatrici loro stesse della mentalità maschile. Le madri devono insegnare alle figlie femmine un modello di subordinazione femminile all’autorità maschile." (Federica Beretta, 2012) dunque il ruolo giocato dalla donna in queste organizzazioni è un ruolo quanto mai ambiguo, non ufficializzato in quanto "Le donne non fanno giuramento di fedeltà alla ‘ndrangheta perché il loro primo dovere è quello di essere fedeli ai propri uomini." (Federica Beretta, 2012) ma di una forte rilevanza a livello sostanziale e a volte anche contro i loro interessi. Nella ‘ndrangheta l’unica carica al livello formale data a donne particolarmente devote all’organizzazione è quella di sorella d’omertà e i compiti ad essa annessi sono "… il compito di dare assistenza ai latitanti, di far circolare le ‘mbasciate e di mantenere i contatti, attraverso i colloqui, tra i detenuti e l’organizzazione esterna… il ruolo principale di colei che ricopre la carica di sorella d’omertà è di mantenere i segreti all’interno e fuori l’organizzazione criminale." (Federica Beretta, 2012) Tra i temi tramandati uno rilevante è quello della vendetta, le donne di mafia incitano mariti e figli alla vendetta per la mancanza di rispetto o la messa in dubbio della virilità e dell’onore dell’uomo "Il delitto d’onore in Sicilia è stato sempre una cosa anche femminile. Ad esempio, donne che sollecitavano vendette nei confronti di chi aveva osato mancare loro di rispetto, oppure producesse dei fatti che mettevano in dubbio l’onore e la virilità dell’uomo." (Giunta, Lo Verso, Mannino, 2013) questo riguardo Cosa Nostra ma lo stesso tema torna anche nella ‘ndrangheta come spiega la sociologa Renate Siebert col termine "pedagogia della vendetta" "per indicare il continuo incitamento nei confronti dei figli a vendicare l’onore del padre ucciso." (Federica Beretta, 2012) continuo incitamento che si rivela in due elementi simbolici: la calendarizzazione della vendetta (programmata scrupolosamente) e la vendetta trasversale (che si riverso non solo sul diretto interessato ma anche sulla sua famiglia).
Oltre a queste funzioni attive la donna ha anche delle funzioni passive la prima di tutte è quella di garante della reputazione maschile "La donna deve salvaguardare la reputazione maschile (che garantisce agli uomini di essere formalmente affiliati alla mafia) attraverso la sua rispettabilità e onorabilità" ovvero "Alle donne era perciò richiesto un comportamento sessuale "corretto", ossia la verginità prima delle nozze e successivamente la castità. Per evitare la perdita dell’onore gli uomini dovevano così esercitare uno stretto controllo sulle proprie donne, un controllo che permaneva attraverso gli occhi del clan qualora l’uomo fosse stato incarcerato. Se l’uomo si dimostra capace di mantenere un controllo totale sulla propria donna agli occhi degli altri sarà capace di mantenere un controllo anche sul territorio" (Federica Beretta, 2012).
Un parallelismo per noi che siamo al di fuori di tale mentalità difficile da comprendere: che connessione intercorre tra il controllo sulla donna e il controllo sul territorio? Perché il primo presuppone il secondo? Un altro ruolo passivo è quello di "merce di scambio nelle politiche matrimoniali", è un retaggio della cultura patriarcale, consiste nello svolgimento di matrimoni combinati con obiettivi strategici, i principali obiettivi sono la stretta di alleanze o la riappacificazione dopo anni di faide "Il sangue della sposa durante la prima notte di nozze, rappresentando la giusta restituzione del sangue versato nel corso della guerra, sancisce la fine della faida" (Federica Beretta, 2012).
La pratica dei matrimoni combinati ricorda molto i matrimoni combinati tra monarchi di stati diversi e forse in questo caso questa tradizione deriva proprio da lì, in quanto la mafia ha origine dai vecchi potentati locali e i sabaudi alla nascita dello stato italiano non ebbero la forza di sottometterli e dunque si allearono con loro attuando la strategia della cooptazione ovvero di delegare la gestione dei territori del sud Italia a questi potentati.
Col tempo però il ruolo della donna è cambiato, ha sempre di più potuto svolgere ruoli più utili per l’organizzazione ma non ha mai comunque avuto una vera e propria emancipazione. Un ruolo importantissimo è quello svolto dalle donne nel narcotraffico "Trasportare la droga è un mestiere particolarmente adatto ad una donna perché si possono facilmente nascondere quantitativi di droga simulando gravidanze o arrotondando fianchi e seni" (Federica Beretta, 2012) le donne in oltre sono considerate meno controllate dalle forze dell’ordine. Le motivazioni che spingono queste donne al trasporto di stupefacenti sono i "contesti di marginalizzazione sociale" … il "desiderio di raggiungere mete consumistiche proposte dalla società." (Federica Beretta, 2012) Anche se loro si sono acculturate perseguendo l’istruzione superiore e universitaria i ruoli che ricoprono sono prettamente strumentali, soprattutto nelle operazioni economico-finanziarie come prestanome dove rappresentano la faccia pulita dell’organizzazione "Nell’analisi della presenza femminile nel settore economico finanziario della criminalità organizzativa (va) sottolineato che essa è stata esclusivamente strumentale alle associazioni mafiose» (Ombretta Ingrascì- membro del comitato antimafia del comune di Milano 2007) quindi si parla del fenomeno della pseudoemancipazione perché "Il potere affidato alle donne è sempre delegato e temporaneo" (Federica Beretta, 2012) e perché le donne continuano a subire violenze ed ad essere economicamente assoggettate ai membri maschili della propria famiglia. Da questa analisi emerge che le donne sono membri a tutti gli effetti delle organizzazioni criminali, anche se non ufficialmente riconosciute come tali, le loro funzioni sono fondamentali, senza le donne non ci sarebbe la trasmissione delle cultura criminale e dunque il sistema mafia non potrebbe riprodurre se stesso in modo uguale e continuo, così ci sarebbe un’apertura nei confronti di nuove influenze sociali e l’organizzazione cambierebbe radicalmente perdendo le particolari caratteristiche che possiede; sono un anello fondamentale non riconosciuto come tale e costrette in una posizione di subordinazione all’uomo.
Bibliografia :
S. Giunta, G. Lo Verso, G. Mannino, Il mondo mafioso: tra pratica clinica e interventi nella polis, COIRAG, 2013
Federica Beretta, le figure femminili nei processi di ‘ndrangheta. Il caso lombardo attraverso gli atti giudiziari 2009-2012., tesi di laurea in scienze politiche e di governo, università degli studi di Milano, 2011- 2012
Ombretta Ingrascì, Donne d’onore, storie di mafia al femminile, Bruno Mondadori, 2007
Ponti, Merzagora Betsos, compendio di criminologia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008
Ombretta Ingrascì, Donne, ndrangheta, ‘ndrine. Gli spazi femminili nelle fonti giudiziarie Donne di mafia. Rivista Meridiana
Lo Verso G. (1989), Clinica della gruppoanalisi e della psicologia, Bollati Boringhieri, Torino.
Lo Verso G. (1994), Le relazioni oggettuali, Bollati Boringhieri, Torino.
Lo Verso G. (1994), Mafia e follia. Il caso di Vitale. Psicoterapia e scienze umane, Bollati Boringhieri, Torino.
Lo Verso G. (1998), La mafia dentro. Psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G. (1999), Come cambia la mafia. Esperienze giudiziarie e psicoterapeutiche in un paese che cambia, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G. (2004), La mafia fa male alla salute: le storie delle figlie di boss, in Diario, anno IX, n^25. Lo Verso G. (2013), La mafia in psicoterapia, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G. (a cura di) (1998), La mafia dentro. Psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano
Lo Verso G., Coppola E. (2009), Mafia e sanità, in Dino A., Criminalità dei potenti e metodo mafioso, Mimesis, Milano.
Lo Verso G., Coppola E., Giorgi A., Giunta S. (2013), I vissuti degli psicoterapeuti che lavorano con pazienti ap partenenti al mondo mafioso. Ulteriore approfondimento delle psiche mafiosa, in Lo Verso G., Di Blasi M. (2011), Gruppoanalisi Soggetuale, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Lo Verso G., Ferraro A. M. (2007), Disidentità e dintorni. Reti smagliate e destino della soggettualità oggi, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G., Giannone F. (1999), Il self e la polis, il sociale e il mondo interno, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G., Lo Coco G. (2003), La psiche mafiosa. Storie di casi clinici e collaboratori di giustizia, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G., Lo Coco G. (2004), Working with patients involved in the mafia, in Lo Verso English Papers, edited by Claudia Prestano. Edizioni Anteprima, Palermo.
Lo Verso G., Lo Coco G. (a cura di) (2002), La psiche mafiosa. Storie di casi clinici e collaboratori di giustizia, Franco Angeli, Milano.
Lo Verso G., Lo Coco G., Mistretta S., Zizzo G. (1999), Come cambia la mafia. Esperienze giudiziarie e psicoterapeutiche, Franco Angeli, Milano.
Di Simone Cardigliano, studente magistrale presso la facoltà di psicologia forense e criminologica
dell'Universita degli studi di Torino- laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche presso Unisalento.
Autore: Simone Cardigliano
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