L'essenzialità rivela presente in questa pagina del Vangelo di Matteo, l'immagine della giustizia finale di Dio, che sembra pesare col bilancino la generosità o l'avidità degli uomini, senza alcuna sua partecipazione affettiva. Pure non è così! Nel cuore del Giudice divino vive la Carità smisurata del Padre che, per salvarci, ci ha offerto il Suo Unico Figlio. Piuttosto triste è l'avarizia umana, accolta e praticata da molti, responsabile della loro condanna. Non mancano tra noi coloro che, arricchiti dal comune Genitore eterno, si rifiutano di offrire aiuto compassionevole, ai fratelli in difficoltà. Dimentichiamo ahimè, che noi, uomini, siamo semplici amministratori dei beni terreni, e, che, della nostra gestione, siamo chiamati a rendere conto. Quella che noi chiamiamo "fortuna" nella vita, non è altro che è una "ricchezza di beni" di cui possiamo usare, per noi, nella misura a
noi necessaria, il resto invece ci è affidato, per i bisogni dei fratelli. Il giudice, di cui parla il Vangelo odierno, è quindi il solo, vero proprietario di tutto; Egli premia la generosa onestà di quanti hanno doverosamente condiviso risorse, qualità, tempo, cultura, affettività... con i poveri di beni materiali, intellettuali, spirituali... Lo Stesso però allontana da sé i figli degeneri che hanno
trattenuto, per loro, troppo, escludendo gli altri, lasciati nell'indigenza e nel dolore. La gravità dell'egoismo dei "condannati" alla pena eterna sta nell'aver rovinato la divina equità, per gli uomini, della Provvidenza.