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Mino De Santis serve "Muddrhiche" al suo pubblico

Data: 01/07/2013 - Ora: 09:37
Categoria: Cultura

de santis

Sabato scorso la presentazione del nuovo lavoro

"Scusate per la barba lunga, ma è per esigenze del videoclip che dovrò girare" si presenta così il popolare cantautore salentino Mino De Santis al pubblico, nella suggestiva atmosfera di Largo Fiera del Piazzale Santa Maria della Lizza ad Alezio. Prima tappa del suo terzo album "Muddhriche" pubblicato dall’etichetta Ululati Records di Lupo editore. L’attesissimo concerto di sabato sera, presentato dalla giovane scrittrice Vittoria Coppola, ha avuto il patrocinio del Comune di Alezio e del Comitato Festa Patronale della Lizza.

Mino giunge sul palco col vento leggero di un estate che tarda ad arrivare, accompagnato da un gruppo di bravissimi musicisti, del calibro di Francesco Negro (pianoforte), Pantaleo Colazzo (fisarmonica), Mauro Semeraro (mandolino), Pasquale Gianfreda (chitarra e contrabasso) ed Antonio Tau (percussioni). Ad accompagnare alcuni brani la calda voce di Giulia Tedesco. La scaletta si compone di testi densi di significato, in cui le storie cantate compongono l’affresco di un mondo popolare e lontano riprodotto attraverso un dialetto vibrante e immediato. Ed è proprio attraverso questo linguaggio vergine e libero che l’artista fa riemergere efficacemente tutti gli istanti sentimentali ed appassionati della vita quotidiana. Il viaggio musicale al cuore del dialetto salentino, in cui tutto è ancora incontaminato e puro, nasce da un’attenzione del cantautore ai particolari minuti, ai frammenti d’immagini che caratterizzano la vita dei contadini, le tradizioni e le abitudini di una civiltà sommersa. Un mondo ormai perduto in cui il candore dei volti si mescola al rumore calmo dei gesti.

Su questo passato salentino l’autore si esprime nostalgico nell’autobiografico "Anni" scanditi in minuti e secondi da battiti di percussioni vivi come il suono di ricordi lontani, nell’immagine evocativa delle scuole "te na fiata" quando i maschietti coi maschietti vestivano di "grembiulinu niuru e fioccu azzurru" con la "scrima a mmenzu e fazzuletti". Rimpianto di immagini care che si affaccia con il ricordo personale ed attraverso la parola cantata si fa memoria collettiva. Una poetica verista ritratta ancora in "Fiche cu le mendule", in cui si intravede l’arrangiarsi dentro un’unica stanza, la sola che possa scaldare in tempo di guerra, dove sono appese le "pendule" di pomodori e agli angoli le "capase carcate te fiche cu le mendule". Sono queste le "muddriche", le briciole di un pane condiviso, non gli scarti ma i "manuzzuli" di una vita intera da cui trarre nutrimento e la capacità di sapersi accontentare. C’è l’allegra ballata amorosa di "Sotta a nna chianta te chiapparu", storia di due amanti che si ritrovano nei pressi di un cappero e vivono il loro tormento per timore d’essere scoperti e incappare nell’ira del padre di lei.

La nostalgia per l’arcaico mondo contadino e le culture proletarie e sottoproletarie, che conservano un’autenticità vitale ormai scomparsa, è presente ancora in "Arburu te ulie", bellissima ode all’ulivo ripresa dal primo album, in cui viene celebrato il rito della "mmunda" ed il ritmo ciclico e lento delle stagioni. Una cadenza del tempo in cui "ogni giurnu la vita è la stessa, lu rosariu la radio e la messa" canta in "Porta verde", dietro cui una tenda bianca vela la stanza animata da figli e nipoti che chiedono ai grandi il racconto di storie inventate. L’ironica "Radical chic" è un’esilarante e pungente satira politico-sociale nei confronti di quella sinistra salottiera, fatta di personaggi imborghesiti e distinti che parlano di ecologia e pace davanti ad un buon vino, lasciando al popolo la rivoluzione. Altro brano dalla forte connotazione sociale è "Pezzenti", cantato con Nandu Popu e Giovanni De Santis (figlio di Mino), che riprende la tematica de "Lu bonacciu" presente nel secondo album.

I pezzenti sono i moderni miserabili, gli emarginati, gli immigrati che vivono "comu l’animali tra patruni e caporali" ed anche giovani stranieri laureati che stanno dietro ad un trattore. Un sottobosco sociale spesso additato come responsabile della crisi perché "lu populu la pija sempre cu ci stave pesciu", ma in realtà è una "guerra tra pezzenti che favorisce i potenti". Il brano, travolgente rap melodico con annesso videoclip, è destinato a diventare il tormentone dell’estate.

La satira di Mino, forma che più connota la sua poetica, prende di mira anche un modo di fare musica ne"Ieu fazzu gezz", in cui finge di essere un jazzista che converte le canzoni con "aumenti e diminuiti tutti accordi indefiniti". Una simpatica critica a quella musica d’atmosfera, troppo raffinata ed elegante che spesso provoca la noia del pubblico. La formazione musicale del nostro cantautore comprende i grandi autori della musica italiana, da Fabrizio De André a Stefano Rosso ed a tratti sembra di sentire anche la scanzonatezza ironica e graffiante di Rino Gaetano. Mino è un talento raro, un cantastorie che fissa nella scrittura uomini, oggetti e gestualità destinati a svanire nel tempo ed in lontananza. Ed essi possono rivivere nell’unica forma di sopravvivenza a lui più congeniale: la poesia che diventa musica dove la tenacia della memoria risponde ad un bisogno di autenticità, alla riscoperta di valori ormai perduti.

Autore: Chiara Caputo

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